lunedì 9 maggio 2011

C’era una volta su cuguzzulau. Ma prima ancora…


di Francu Pilloni

Sedere in cerchio sotto la luce grigia della Luna, nelle serate estive dei paesi, era il vezzo, l’abitudine, la necessità per lo stare insieme dei bambini. Oggi è solamente un tenerissimo ricordo che colora le emozioni di qualche vecchio come io mi sento e sono, che affiora e affonda come una farfalla in una giornata di vento.
Si apprendevano i giochi di società, quelli che costringevano a tirar fuori la grinta per non essere eliminati in fretta e per arrivare sino in fondo, che chiedevano il meglio delle capacità attentive e di prontezza nel ragionamento. 
Uno di questi giochi era su Cuguzzulau, intendendo per esso la pianta del cardo selvatico che ben si carica degli ispidi e pungenti carciofini (sa cuguzzula). In altri paesi, anziché di cuguzzula si parla di altri frutti, le arance in primis, ma è sicuro che non rendono appieno l’idea di quanto i vari bambini-cuguzzulas fossero l’un contro l’altro armati, pronti a farsi fuori reciprocamente pur di sopravvivere nel gioco. 
In qualche modo, ci aiutavano a crescere. Ma è pur vero che una gran fetta dei “saperi” restava fuori da ogni e qualsiasi gioco, sia pure controllato, perché da tempo era diventato tabù: oggi la chiamiamo educazione sessuale, la s’insegna a scuola, ma prima ancora in famiglia, mentre allora si poteva solo sbirciare, ascoltare sussurri, allusioni, e non sempre si comprendeva nel verso giusto.
Ma prima ancora, molto prima, i bambini sedevano in tondo non attorno ad un immaginario cardo, ma ad un palo, ad una perda fitta che spesso fungeva da supporto audiovisivo, o solamente da lavagna, perché su di essa erano scolpiti i misteri della vita. Io non so chi, forse una donna anziana o un sacerdote, spiegasse come sa perda fitta puntasse direttamente verso l’alto, dove risiede la divinità che tutto vede e sente, e come il dono della vita è dono divino a cui gli uomini accedono per grazia ricevuta. 
Sono passate generazioni di bambini, trascorsi i secoli e i millenni dell’infanzia della Sardegna, per dirla con Elio Vittorini, sono rimaste solo is perdas fittas, spesso al loro primitivo posto, qualche volta distese a terra, non molto raramente frantumate dal tempo o dall’ignoranza degli uomini, se non dalla loro insulsaggine. Può capitare che una di queste pietre venga raccolta di peso, trasportata con mille attenzioni su un carro a buoi e portata in paese non per essere esposta in un museo e neppure nella piazza del comune, ma usata come colonna di sostegno per il tetto di una stalla. E là sta ancora con tutta la sua malinconica decenza, anche se ha dovuto subire l’appianamento dell’apice, dato che diversamente la trave di legno non avrebbe trovato l’appoggio stabile richiesto. E siccome il padrone della stalla era ben consapevole che le sue bestie ruminavano bene ma leggevano male, pensò bene di esporre i ghirigori verso l’esterno così che ogni mattina potesse ripassarli lui stesso, senza che per altro abbia mai raggiunto alcuna certezza su quanto volessero significare.
Neppure io so bene che cosa “dicano” in realtà, anche se più di un’idea mi frulla per la testa, specialmente quando mi salta agli occhi la somiglianza con altri saperi de su connotu, come il pane della sposa, così come si apprende dal bel libro di Salvatore Dedola. (1)
Serve a qualcuno conoscere questa muta narrazione di vita, di sesso, di divinità e di spirali?

1 S. Dedola, I Pani di Sardegna - Dolianova, 2008, Grafica del Parteolla

18 commenti:

Unknown ha detto...

Concetti pregevoli, che formano un tutt'uno affascinante, molto ben scritto (e prima ancora ben pensato!) e certamente materiale su cui meditare...

Quello che infine mi piace, Franco, è il suo modo garbato di non presentare un'ipotesi da credere o da confutare: lei lascia con discrezione democratica al lettore la possibilità di continuare a credere in ciò che credeva prima, oppure di lasciarsi pungere dalla curiosità e cercare ancora.
Grazie

Unknown ha detto...

Concetti pregevoli, che formano un tutt'uno affascinante, molto ben scritto (e prima ancora ben pensato!) e certamente materiale su cui meditare...

Quello che infine mi piace, Franco, è il suo modo garbato di non presentare un'ipotesi da credere o da confutare: lei lascia con discrezione democratica al lettore la possibilità di continuare a credere in ciò che credeva prima, oppure di lasciarsi pungere dalla curiosità e cercare ancora.
Grazie

giorgio ha detto...

Se può interessarle il petroglifo e la forma del pane sono straordinariamente simili all'ideogramma geroglifico o determinativo in "utero di giovenca" o "vulva (idt).
Trovo anche una certa analogia con il petroglifo che appare all'interno della domu de janas di Pimentel

Anonimo ha detto...

Belle parole perchè mediate anche quelle di Sandro. Conoscendo il carattere di Franco pilloni è il regalo più gradito che uno potesse fargli. Sandro ha mai letto un romanzo di Franco Pilloni? Se non lo avesse mai letto consiglio, come primo impatto, 'Labirinti e Soluzioni'. Il fascino allora non è solo dei 'concetti' ma della fantasia, davvero unica, unita ad essi. Se in quest'Isola benedetta e maledetta assieme ci fosse un po' più di attenzione per i veri scrittori (soprattutto in sardo) e, direi, di giustizia, non ci sarebbe stato solo Placido Cherchi a gridare quanto è grande e di che letteratura di 'spessore' si tratti.

el-pis ha detto...

Spero sia di buon auspicio:
dalle STALLE alle STELLE.

Anonimo ha detto...

A me, potrò sbagliarmi, ma quei segni (che già Franco mi aveva fatto vedere in un paese della Marmilla) sembrano, papali papali, quelli dell'albero della vita. Radice, fusto e spirale. La potenza che dà il frutto e la vita che darà a sua volta la vita, in un 'ciclo' o meglio, spirale infinita. In più li vedo riportati si di un simbolo chiaro come il betilo! E' davvero strano che Aba non sia intervenuta a dire la sua.

Anonimo ha detto...

Sì, è lei. Aspettavo che lo dicessi tu!
Ma ora mia cara sto facendo festa. Se è vero quello che sembra vero, Romina ed il suo amico hanno comunicato poche ore fa la rivoluzione dell'archeologia sarda del periodo nuragico. Ma non conosco i dettagli delle comunicazioni, purtroppo!. Ohi ohi! Le mongolfiere! Ne vedremo delle belle sui 'cialtroni' e sapremo dove è stat e sta ancora la 'spazzatura'!

francu ha detto...

Eh! e cosa vi è preso?
Vi mettete a sognare anche voi?
Ho letto anch'io la comunicazione di Romina su Giganti.
Sapete cosa ho pensato al volo, cioè senza pensare?
Che la frase di moda fra gli archeologi sardi è quella famosa: "Va avanti tu, ché a me viene da ridere!".
Ah, le sbruncate! Sono una vera dieta dimagrante.

Per Sandro: grazie.
Se pensi che rientrerei di diritto nel numero dei sardisti indipendentisti che mitizzano il passato, ecc. ecc., te la senti di confermare quanto hai scritto?

GESICO ha detto...

Saludi e trigu a tottus!
Mascherina ti conosco! O meglio conosco quella deità androgina, che da noi è chiamata Momotti (o Maimotti la nostra maschera) e quella stele (proveniente da un sito non molto distante)non è che uno dei 5 tasselli che che compongono il complicato puzzle. Sono trascorsi 2 anni e la soprintendenza di Cagliari sta per sciogliere le sue riserve. Sono delle scoperte eccezionali che daranno un senso ai Sardi Coppelliti (o chiamateli pure protosardi!) agli studi del buon Gigi Sanna sulla scrittura protosarda e nuragica, alla soberana curiosità di Franco! Bisogna avere un poco di pazienza per capirne qualcosina in più!

A si biri mellus!

GESICO ha detto...

Saludi e trigu a tottus!
Mascherina ti conosco! O meglio conosco quella deità androgina, che da noi è chiamata Momotti (o Maimotti la nostra maschera) e quella stele (proveniente da un sito non molto distante)non è che uno dei 5 tasselli che che compongono il complicato puzzle. Sono trascorsi 2 anni e la soprintendenza di Cagliari sta per sciogliere le sue riserve. Sono delle scoperte eccezionali che daranno un senso ai Sardi Coppelliti (o chiamateli pure protosardi!) agli studi del buon Gigi Sanna sulla scrittura protosarda e nuragica, alla soberana curiosità di Franco! Bisogna avere un poco di pazienza per capirne qualcosina in più!

A si biri mellus!

Grazia Pintore ha detto...

Signor Pilloni,mi dispiace non aver mai letto un suo libro,chissà se trovo qualcosa in una libreria fiorentina!!!I suoi scritti fanno sognare e,sopratutto,mi fanno tornare alla mente tanti ricordi della mia infanzia nuorese.La prego continui a scrivere in questo blog perchè si ha tanto bisogno di nutrire l'anima.Grazie,grazie ancora.

Anonimo ha detto...

Caro ....Gesico. Già un'altra volta mi ha parlato di queste scoperte 'eccezionali' sulla scrittura. Ed è passato molto tempo. Sai però cosa ti dico? Se dà il benestare la Sovrintendenza vuol dire che sono tutto tranne che scrittura. Figurati se mi tirano la volata!

francu ha detto...

Per el-pis:
che uno stia nelle stalle o che salga fino alle stelle, non fa molta differenza, se sa adattarsi alla situazione e pensare che nelle stalle si guarda e si sogna, nelle stelle può solo farsi vedere. Secondo te, cos'è meglio per un uomo come me?

Per Grazia:
Gratia, gratiae gratiae; gratiam, gratia, gratia! Graziae, gratiarum gratiis! insomma, mille grazie.
Visto che usi il computer, puoi scaricare i libri dal mio sito o direttamente da questo, dove GFP ha provveduto a scrivere "librus debadas".
Non c'è, almeno credo, alcun mio libro in libreria al momento, se non forse l'ultimo, che è in sardo, Arega pon-pon. Ora non ricordo i nomi, ma molti in Toscana avevano acquistato il mio primo libro che era in due volumi cellofanati insieme, la copia in sardo e quella in italiano. Mi avevano detto che ne avrebbero fatto dono, della copia in sardo, agli amici isolani che avevano numerosi.
Te lo dico perché, vendere un libro in lingua sarda a un fiorentino, mi provocò una certa euforia. Al momento, si capisce.

Aba e Gigi: forse non si nota bene, ma le bipenni sono almeno due anche in questa stele. La prima alla base della foto 3 in basso a sinistra che richiama il pane della sposa, seghettata da 2 + 2 linee verticali; la seconda è alla base della foto 4 in basso a destra e appare come la bocca in un viso. Da notare che la foto 4 è la continuazione della 3, andando verso l'apice della stele stessa.

GESICO ha detto...

Caro Gigi e cari tutti,
personalmente, visti tutti i casini in giro, ho deciso di instaurare questo rapporto di collaborazione con la soprintendenza. E di questo, nel bene e nel male, mi prenderò tutte le conseguenze. D'altrocanto il mio è il Paese delle Lumache per eccellenza e quindi sò aspettare. Su queste "scoperte" posso scrivere e pubblicare ed ho pure il loro permesso. Il problema sono le conclusioni, difficili, aperte ad una nuova frontiera per l'Archeologia Sarda. Sono decenni che giro per interrogare il mio territorio (Trexenta-Marmilla e Sarcidano)e quella stele, pubblicata dall'amico Franco, scoperta 10 anni fà, mi offre degli spunti, ma non risposte esaustive a tutti i quesiti che mi pongo e che mi pongono. Inoltre c'è da preservare questi capolavori, da metterli in sicurezza e soprattutto proteggerli da furto o distruzione da parte di qualche fanatico! E' già successo in un recente passato dove due steli paleocristiane, sono state trafugate. E le istituzioni possono fare ben poco in questo senso. Dal 1600, dove vivo, (è documentato) c'è questa eterna lotta tra Paganesimo e Cristianesimo. Franco conosce benissimo questa situazione, che definire particolare è poco. Ben sà delle sofferenze che sta patendo la mia popolazione per questo sincretismo religioso all'incontrario. Molti elementi di questo complicato puzzle ci sono. Tuttavia recentemente, il ritrovamento "casuale", di una accettina litica (ma anche alcuni prodotti di scheggiatura e forse ritoccati) incastonata all'interno di un conglomerato sabbioso (quasi cementificato) all'interno, a sua volta, di un deposito appunto di sabbie eoliche pongono ben altri interrogativi. Esisteva un paleopaesaggio nel Campidano di Cagliari? Erano gli antenati dei Sardi Coppelliti? O forse erano proprio i Sardi Coppelliti? Da dove sono arrivati dal Nord (Toscana-Corsica) o da Sud? Da Occidente? Troppe domande mi rendo conto e prima di dare risposte azzardate, preferisco prendermi un supplemento di riflessione. Mi scuso, presto condivideremo, ma non abbiate fretta!

P.s: Franco appena mi libero di questo annuale impegno, faremo finalmente quel giretto!

A si biri mellus!

Grazia Pintore ha detto...

Signor Pilloni,purtroppo non ho la stampante,però chiederò il piacere a qualche amica più tecnologica di me.La ringrazio per l'informazione.Se può,nel frattempo mi allieti con qualche altro articolo nel blog,Lei non può immaginare quanto sia "ditzosu" ,per me, leggere i suoi scritti.In questo momento storico così squallido,sapere che ci sono persone come lei è un gran conforto.

francu ha detto...

Gesico:
Ti lascio libero di votare domenica e di fare la giunta lunedì. Dopo, ogni giorno è quello giusto.

Grazia, sono d'accordo con te: sapere che ci sono (ancora) persone come me in questo mondo mi è di grande conforto. Io cerco di resistere, ho pronti i bagagli, ma non ho ancora fissato la data per la partenza. D'altra parte, il biglietto me lo pagano altri.

Unknown ha detto...

a Francu: per errore avevo scritto due volte il mio commento. Considera il secondo una ripetizione voluta, anche alla luce di quanto hai detto. Perché ognuno di noi ha diritto a sostenere le proprie idee e convinzioni, apertamente e sinceramente. Tutto sta a farlo con garbo e simpatia, come fanno le persone intelligenti e sensibili. Tutte doti che mi sembra non ti manchino...
Saluti a tutti

francu ha detto...

Sandro:
e sì che mi ero accorto dell'errore, ma ti confesso che ho letto con voluttà la ripetizione. Non capita spesso (e lo vedi anche in questo blog frequentato da persone piuttosto serie) che uno dica quello che pensa del prossimo, specialmente a parlarne bene come tu cortesemente hai fatto con me. Non si pensa, molte volte, che riconoscere anche esagerando i meriti altrui mai ci depriva dei nostri eventuali, non li sminuisce, non li mette in ombra. Anzi.
La mia battuta, ma l'hai capita, era soprattutto per la mia supposta "democraticità" che mal si concilia coi mal di pancia nazionalitari, razzisti, ecc. di cui siamo portatori, ogni volta che cerchiamo la nostra identità come popolo.